Lo svago:
una necessità e una scelta
Pietro Bolognesi 24/07/25
Filippesi 4,8
Lo svago una necessità
Il fatto che nello svago vi debbano essere atteggiamenti più aperti alla libertà, come si diceva, può aiutare a cogliere delle tensioni che altrimenti sarebbero nascoste nella vita umana. Nell’ambito dell’attività lavorativa questo diventa più difficile in quanto il tempo è più strutturato e compatto, così non è facile capire cosa c’è in fondo nella nostra vita. Nell’ottica dello svago, al contrario, possiamo scorgere elementi altrimenti occulti.
In questo senso, lo svago diviene una possibilità per capirci ed interpretarci maggiormente. Possono emergere prospettive mancate, promesse non mantenute, emozioni impensate, ecc… In altre parole, lo svago è come una valvola di sfogo che ci permette di cogliere dimensioni esistenti in noi ma non sempre percepite.
Ad esempio, in taluni casi, il fatto che si ricorra a forme di ascetismo è l’eco di un controllo sulle nostre emozioni. In questo modo, però, si nega la realtà comprimendo le cose in un modo del tutto artificioso. Guardiamo alla realtà, ad esempio, non più nell’ottica della bontà della creazione di Dio, ma si pensa che la privazione di qualche elemento possa essere lo strumento del nostro benessere. Ci priviamo di quanto è piacevole, ci censuriamo, e così sembra che risolviamo le tensioni che possiamo avere nella nostra vita.
In altri ambienti, si cerca invece di comprimere l’espansione dei desideri. Ci sono tanti imperativi che fanno parte anche dell’educazione evangelica, tramite cui si cerca di comprimere e limitare. Nel mondo evangelico non si va in eremo, in qualche isola in quanto forme impopolari, ma si comprimono certi desideri rispetto all’affermazione del Signore secondo cui tutto quel che Dio ha creato è buono.
Al contrario, una concezione più biblica dello svago può aprire la strada ad un equilibrio autentico: non si tratta di censurare, limitare, comprimere, evadere, ma si tratta di ripensare. Per l’antico predicatore, non poter godere del proprio lavoro o della propria esistenza era una ingiustizia immensa (Ec. 6,2). Di qui, la stessa ingiustizia riguarda gli imperativi che privano del godimento della creazione di Dio.
Per la Scrittura, è il dominio di Dio che permette di godere profondamente dei doni che Dio stesso dà. La presenza di Dio nella vita consente sia di evitare le autocensure, sia l’insaziabilità dei desideri. Il senso della necessità dello svago si coglie nella sottomissione al Signore. Così, il Signore è capace di liberare dalle cose che sono secondarie, superflue o non così importanti.
In questa ottica, un’esigenza per ristabilire un equilibrio reale senza fuggire, senza censurare sia quello di ascoltare la Parola di Dio. Tale ascolto è una necessità vitale anche per lo svago.
Quando noi abbozziamo e facciamo un passo di più nel pensare allo svago in ottica biblica, capiamo che la Scrittura ci aiuta con lo svago a mettere un limite all’attività lavorativa, perché il tutto dell’uomo non è produrre. Si tratta di una educazione al limite ed è un aspetto non indifferente. C’è un ritmo strutturale nella vita umana. Viviamo in un mondo che finisce per identificare gli sforzi produttivi in un’ottica soteriologica. Così, lo svago pone un limite e diviene uno strumento di confessione dell’impotenza umana. C’è un limite soteriologico quando noi ci apriamo allo svago in ottica biblica.
In tale ottica, lo svago porta con sé questa memoria liberatoria. In Dt. 5, la pausa che viene insegnata è dovuta al fatto che il popolo di Dio era stato schiavo e che, quindi, aveva conosciuto un’autentica liberazione da parte del Signore. Il riposo è segno della liberazione evocata dalla redenzione. Non è solo confessione della nostra impotenza, non è solo ammissione di un limite, ma è anche la memoria di una liberazione ottenuta. Così, quando prendiamo la distanza dalle nostre attività le relativizziamo e affermiamo che noi non siamo fondati su di esse. L’uomo è più grande del suo lavoro. La schiavitù è cessata, Dio ha riscattato il suo popolo. La vita cristiana si nutre di questo immaginario: la mia salvezza non è in quello che posso fare. In questo senso, c’è anche un elemento molto pratico. Quando noi siamo immersi, e lo siamo troppo, vediamo in un’ottica miope quanto avviene nel corso della settimana. Con la cessazione, al contrario, noi ci apriamo alla valutazione più oggettiva delle nostre attività. La necessità dello svago serve per recuperare la dimensione creazionale del nostro esistere. Ho lavorato, qual è il senso del mio lavoro? Capiamo se ci sono segnali di pochezza, insignificanza, oppure di fragranza e realizzazione vera. Molte attività nella vita cristiana sono segnate da pochezza perché non hanno occasioni di lettura critica ed obiettiva.
Tutto ciò implica una distanziazione dalla visione umanista che, invece, pone l’uomo al centro quale regista di tutte le proprie attività. No, al centro c’è Dio che ordina il lavoro e, allo stesso tempo, lo relativizza.
Lo svago: una scelta
Spesso, il lavoro, per una serie di circostanze anche discutibili, non è un’attività scelta. Capita, in altre parole, di potersi ritrovare a fare un lavoro che non si è scelto in maniera pienamente consapevole. Questo non vale per lo svago: esso è oggetto di una scelta consapevole. Non si può giustificare la scelta dello svago con termini di inevitabilità. Quando scegliamo un passatempo rispetto ad un altro, lo facciamo perché lo vogliamo. Maria aveva scelto la “buona parte”. La pausa è un’occasione per vivere in maniera più consapevole le nostre scelte, per ricollegarci a Dio quale riferimento esistenziale per la nostra vita. Il lavoro non favorisce sempre un collegamento a Dio, lo svago lo consente inevitabilmente.
In questo senso, lo svago può diventare un importante momento di verifica della comprensione che ho della mia vita.
Fil. 4,8: Paolo sta orientando la vita anche nell’ambito dello svago come una scelta consapevole per quelli che sono i valori primari, capaci di dare significato all’esistenza umana. La qualità della vita la determino da un tipo di scelta.
Alla luce di questo testo, lo svago appare una scelta per una teologia della sobrietà, ossia una presa di posizione contro le pretese dell’efficacia umana. L’invito è di trovare la pienezza del Signore (1 Tm. 6,6). La contentezza è una condizione sine qua non dello svago da un punto di vista cristiano, una scelta che dà il senso di questo appagamento in Dio. In questo senso, lo svago diventa una scelta consapevole per allontanare le sirene dell’insoddisfazione. Siamo persone che lo scelgono davanti a Dio, con Dio nell’ambito del suo popolo e lì c’è questo sentimento di contentezza che è un grande guadagno. Avere persone che non siano semplicemente frustrate e che non proiettino nello svago delle compensazioni illusorie rispetto alle frustrazioni del quotidiano in questo senso la scelta dello svago è un grande obiettivo. Qualche cosa che si nutre di questa teologia della sobrietà teologia della contentezza in cui effettivamente eh diciamo a noi stessi che siamo molto di più del lavoro che siamo molto di più della nostra attività produttiva perché nel segno di una dipendenza a Dio c’è la possibilità effettivamente di essere dentro a queste cose elencate dall’apostolo Paolo che siano oggetto dei vostri pensieri.