Lo svago: una contemplazione

Pietro Bolognesi 24/07/25


Romani 12, 1-2

La Scrittura insegna in maniera radicale che la vita umana o è una celebrazione del Creatore o è un suo rifiuto. Non vi sono altri modi di porsi davanti alla realtà se non nella sottomissione ubbidiente a Dio, oppure nel suo rigetto. L’antitesi è fondamentale. Quando noi pensiamo anche a quanto visto in questi giorni, ci rendiamo conto che la possibilità di inacerbirsi per l’apostolo Paolo dipendeva dalla contrapposizione totale tra Dio e gli idoli. È un percorso di totale antitesi.

A questo punto, l’apostolo inizia col dire “Vi esorto…”. Non si tratta di una mera sollecitazione, ma una conclusione: “Adesso che avete colto un progetto definitivo per la vostra vita, è tempo di cambiamenti”. Qui si parla del culto spirituale. “Spirituale”, nel testo greco, significa “razionale”. Lo gnosticismo era per un culto sganciato dalla realtà, Paolo, al contrario, dice che il nostro culto non è sentimentale o estatico, ma lo spirito e la materia non sono in contrapposizione.

Un esempio. Spesso si dice “andiamo al culto”. Al contrario, per l’apostolo il culto è tutta la vita (la casa, il lavoro, la strada). Noi tendiamo a separare quel che Dio unisce. Ed è solo questa realtà complessiva, totalizzante che è gradita a Dio. Tutte le altre forme di culto frutto della scissione sono cose non gradite a Dio indegne di Lui.

Questa premessa è per dire che, anche nel NT, stiamo parlando di culto inglobante, che assorbe la totalità dell’esistenza. Quindi, quando noi celebriamo Dio pensiamo in questi termini. Qui recuperiamo il messaggio originario della Genesi: il punto culminante della Genesi non è la creazione dell’uomo ma è il momento del settimo giorno.

Lo svago, così, è il punto culminante delle cose che facciamo. Il racconto della Creazione è costruito attorno alla trama di questo tempo e il tempo, si capisce, non è semplicemente una scansione quantitativa (kronos), ma una trasformazione qualitativa (kairos).

Quando capiamo il tempo in questa ottica, abbiamo il privilegio di impegnarci nelle nostre attività lavorative ed anche in quelle celebrative (svago). C’è un momento in cui il fuoco sulla celebrazione di Dio diventa più forte, più radicale. L’adorazione o la celebrazione può essere vista come una particolare forma di svago. La celebrazione di Dio è dentro a tutto quel che abbiamo detto a proposito dello svago: ci si ristora con la presenza di Dio, ci si rinnova con la sua compagnia, ci si riequilibra con il senso della sua presenza, ci si rafforza con il senso della memoria di quanto Dio ha fatto. L’adorazione è un senso di meraviglia e stupore davanti a quel che Dio fa. Non è semplicemente la rilettura della nostra settimana che stiamo cercando di fare, ma noi entriamo in questa visione in cui il mondo stesso diventa il tempio cosmico di Dio. Se noi siamo stati realmente liberati, allora abbiamo la possibilità di celebrarlo in un modo che confonde le compartimentazioni della vita. Esodo 24,9-11. Si può celebrare Dio non semplicemente nei momenti solenni delle adunanze d’Israele ma in ogni momento della vita.

Quando comprendiamo la dimensione dello svago come contemplazione, allora capiamo che il collegamento con Dio è necessario e fondamentale. Noi non crediamo, in fondo, nello svago; noi crediamo in Dio. Questo significa che ci possono essere dei momenti in cui lo svago non ci è concesso e questo non ci destabilizza.

Svago e adorazione hanno cose un comune, come la cessazione dal lavoro, e poi la contemplazione. Gioiamo di ciò che Dio ha fatto.

Siccome si deve adorare Dio anziché gli idoli, bisogna trovare il proprio scopo in ciò che Dio ha dato e non in quanto abbiamo realizzato. È questo legame con l’idea di celebrazione che ci aiuta a vedere i benefici di Dio nella nostra vita, con tutta l’energia che ne può scaturire. L’etica dello svago rimanda a questa teologia della grazia. Sl. 46,10-11. Calma, riposati, Dio regna sul regno degli uomini. Non prenderti troppo seriamente, tu non sei necessario.

L’adorazione, in ottica cristiana, altro non è se non l’anticipazione della gioia di quando saremo nella presenza di Dio, quando lo celebreremo nel modo che lui merita (Ap. 21,22).