Lo svago: un comandamento e una libertà
Pietro Bolognesi 23/07/25
Esodo 20,8-11; Marco 6,31-32
Lo svago: un comandamento
Nella Scrittura intera è profondamente radicato il senso del riposo. La vita del popolo di Dio doveva essere scandita non solo dal lavoro ma anche da un tempo in cui non si faceva alcun lavoro ordinario. Si tratta di un aspetto assai insistente (Numeri 28,6 ss.)
Una società basata sulla convenienza, o sull’idea che bisogna produrre del reddito per vivere fa fatica ad immaginare la cessazione delle attività. Quando si entra nel meccanismo dell’attività lavorativa, l’uomo tende a sentirsi al centro dell’universo quale produttore, ma per la Scrittura la dimensione del riposo rimane fondamentale.
Il comandamento, il quarto, colloca il lavoro dentro una cornice precisa: riposo (ricordati settimo giorno…), lavoro (lavora sei giorni…), riposo (ma il settimo giorno…). Questo è già indicazione del fatto che il riposo non è un’appendice al lavoro, piuttosto è l’inverso. Nella cultura ebraica, che accettava persino l’idea della schiavitù, l’elemento del riposo introduceva un elemento di umanizzazione: tutti avevano l’obbligo di rispettare la legge di Dio. Pertanto, il comandamento ricolloca l’uomo dentro la cornice della Creazione. La legge – in questo caso, l’osservanza del sabato – serviva per preservare l’immagine di Dio nel proprio prossimo. Bisognava vedere quell’immagine nel prossimo e questo era reso possibile dal comandamento. Così, il comandamento del sabato può essere inteso come un ritorno all’uomo delle origini.
Il fatto che il lavoro venga collocato all’interno del tema del riposo non è una causalità. Al contrario, è un aiuto per noi per cogliere la dimensione della globalità che è presente nella legge di Dio. Questa legge offre una visione globale dell’uomo: non è quindi un elemento introdotto all’ultimo momento per rimediare, ma è ciò che risulta costitutivo per l’esperienza umana. Possiamo, quindi, concludere che tanto lo svago, quanto il lavoro, non sono estranei a Dio. Pertanto, il comandamento del riposo non è un invito ad evadere dalla realtà ordinaria della vita, ma è un invito a ripensare anche il momento dello svago dentro ad un senso di dipendenza da Dio. Una vita che era estremamente piena come quella del Signore Gesù non cancella la tensione per il riposo (Mc. 6,31-32). Le occasioni di preghiera del Signore Gesù non erano fughe, ma occasioni per restare nei comandamenti di Dio.
Questo comandamento veniva anche richiesto ai discepoli. C’è la dolcezza della quiete col Signore Gesù che non trasporta i discepoli in un mondo di frenetica attività…no, lui aveva contemporaneamente al ministero un interesse per avere dei momenti più tranquilli, sereni, con i suoi discepoli.
La storia di Marta e Maria, se vogliamo, risulta emblematica sul punto. Da un lato c’è l’attivismo, dall’altro c’è la contemplazione. Ci sono momenti in cui invece di essere attenti a molte cose, lo si è per una soltanto.
Riassuntivamente, la legge di Dio insegna il lavoro ma anche il riposo. Per ben svagarsi bisogna aver ben lavorato e per lavorare bene bisogna rendere il culto. C’è sempre questa relazione con l’immagine di Dio. Quando noi riconosciamo tale immagine come sfondo per il recupero della dimensione del riposo, allora troviamo un senso diverso tramite cui comprenderlo: il culto a Dio.
La conclusione del discorso è che chi non si riposa viene meno ad un comandamento del Signore stesso. Da qui segue la necessità della confessione. Il quarto comandamento rappresenta il nucleo centrale del decalogo e risulta un importante campo di prova della nostra dipendenza da Dio.
Dt. 5 fornisce una spiegazione redentiva del comandamento, mentre Es. 20 suggerisce una spiegazione creazionale. Da questo capiamo che nel giorno del riposo è contemplato un ritmo creazionale, cioè, se si vuol essere veri uomini e vere donne bisogna riposarsi. D’altra parte, c’è una motivazione spirituale: siccome eravamo schiavi.
Lo svago: una libertà
La vita umana ha a che fare sempre con una visione del mondo e, quindi, con una dimensione religiosa della persona. Lo svago non sfugge a questa dimensione. Per questo, è importante recuperare una visione più ampia rispetto al solo comandamento.
Per la Bibbia, il lavoro non equivale a libertà. Il giorno in cui il lavoro diventa “tutto”, la vita perde significato e l’uomo viene sconfitto nell’uomo. Pertanto, dobbiamo ragionare in termini diversi rispetto ad una visione utilitaristica e cominciare a pensare che il nostro mondo, la nostra vita, la nostra visione del mondo non dipendono semplicemente dalle cose utili e necessarie, ma anche dalle cose belle, per la libertà in senso biblico (Gn. 2,9; Sl. 145). Dobbiamo uscire dall’idea della utilità quale ragione del nostro agire. Così, molti salmi cantano la bellezza del mondo (non la sua mera utilità). Non dimentichiamo che la bellezza è ance un attributo associato a Dio stesso. Lo svago è una di quelle esperienze del bello che ci fanno del bene. La teologia dello svago comincia con la teologia della creazione. Dio non ha interesse solo per quanto produttivo o funzionale, ma anche per le cose che hanno un valore estetico. Con lo svago dobbiamo fare questo cambiamento di paradigma.
Quando leggiamo l’A.T. vi troviamo le canzoni di Miriam e di Deborah. Si tratta di momenti dilettevoli e piacevoli al di là della funzione celebrativa che possono avere; Davide suona per Saul e calma la sua mente agitata; artisti, architetti, artigiani tutti quanti coloro che erano incaricati della costruzione del Tabernacolo; tutte le feste dell’A.T.; pensiamo poi all’immaginazione profetica (mandorlo in fiore); tutto questo ci proietta nel mondo della libertà e non della mera utilità. Scompare totalmente l’idea di una distinzione tra sacro e profano. Vi erano occasioni di ospitalità pubbliche e private (Abramo e i tre angeli). L’accoglienza dell’altro è un’occasione di festa, il mangiare insieme è un’occasione di festa; Isacco scherzava con sua moglie Rebecca; festosità del Cantico dei Cantici che celebra la tenerezza tra uomo e donna, lasciando da parte l’elemento dell’utilità. La relazione amorosa è come la fiaccola di Jahveh (Cant. 8,6-7), Dio infatti ha pensato le categorie anche di questo aspetto della creazione e le ha segnate con la libertà Mt. 6,25 ss.
Nello svago possiamo accettare più facilmente degli imprevisti. Infatti, se la libertà è la dimensione dello svago, allora il tempo può anche non essere fissato in ogni minimo dettaglio. Gli imprevisti possono servire alla gloria di Dio. Lo svago va al di là della predeterminazione ed accoglie la creatività e la possibilità di stupirsi. Essere veramente liberi significa essere veramente creativi. La nostra fantasia può essere dispiegata.
Capiamo che la libertà non è la licenza. Infatti abbiamo parlato della libertà dopo aver parlato di comandamento. I parametri della libertà cristiana rimangono sempre gli stessi voluti dal Signore. Quindi, quando abbiamo definito lo svago da attività liberamente scelte non significa accantonare la legge di Dio. Così, la soddisfazione e il piacere non possono prescindere dalla legge di Dio. La libertà, per la Bibbia, è la sottomissione a Dio nell’ambito del patto. Si perde il controllo sulla propria vita se si prescinde dalla legge di Dio, in quanto si forma un legame tra intrattenimento e intrattenuto. La libertà biblica non prescinde mai dalla verità della legge (Gv. 8,31).
È vero il gioco, il piacere, la festa sono spesso segnati dagli effetti del peccato. Quindi, quando parliamo di libertà dobbiamo tenere presente questo elemento. Il peccato comporta l’esercizio di una libertà distorta. Sarebbe una distorsione dell’identità dello svago, così come cerchiamo di definirlo, se facessimo finta che sia rimasto avulso dal peccato. Ogni dono di Dio rischia di essere usato in maniera abusivo. Non possiamo ignorare Sodoma, la danza davanti al vitello d’oro, ecc… nascono da una concezione della libertà totalmente sganciata dagli effetti peccaminosi. È facile associare al lato bello dello svago, così come ce lo presenta Dio, il lato brutto del peccato. È molto facile. La pausa ordinata da Dio col quarto comandamento ha di mira qualcosa di grande, di ricco che è il senso della shalom: la salute, lo stare bene, l’essere sereni con sé stessi. La pace non è assenza di attività ma il senso della presenza di Dio.